La
medicina contro la nostalgia.
Nostalgia
– desiderio malinconico e violento di tornare in patria, ossia di
rivedere i luoghi dove passavamo
l'infanzia e dove albergano oggetti cari, il quale è cagione di
profonda tristezza e di tale sconcerto nell'economia animale, da
produrre persino la morte.
Dieci
o Dodici fa (in altre parole: al
mio primo anno in Toscana) stavo andando con la mia amica italiana a
casa sua per imparare a fare la pizza. Camminavamo lungo la strada
principale del borgo (in tutto ne ha tre, di strade). La mia amica
salutava i passanti a destra e a sinistra, ogni tanto si fermava per
scambiarsi due parole. “Che bello! - ho detto con l'ammirazione e
forse con un punto di invidia – ma conosci proprio tutti?!”
“Probabilmente, si” - ha detto, imbarazzata, forse per non farmi
pensare che se ne vantava e ha aggiunto, come per scusarsi: “Va be,
non c'è niente di sorprendente, sono nata qui”. Siamo arrivate
alla scala – il borgo è situato su una collina e il parcheggio si
trova giù. Intorno a noi fino all'orizzonte si estendevano le
colline bellissime, da mozzafiato, ma estranee, come se fossero la
scenografia di uno spettacolo teatrale. I miei pensieri e il mio
cuore sono rimasti lontano, nel parco accanto a casa mia, a Mosca,
dove conoscevo (sin da bambina!) ogni panchina, ogni albero – siamo
cresciuti insieme, ogni fessura nell'asfalto – ci giocavo con il
babbo a non pestarle,
e il babbo mi spingeva apposta
per farmi finire lì, sulla fessura. Guardavo le colline, gli
alberi intorno, ma non con l'ammirazione – cercavo un segno, un
qualcosa di famigliare, ma non c'era niente, proprio niente. Nemmeno
le fessure, perché le vie non erano asfaltate, ma piastrellate.....
Uno
scultore inglese, scendendo dietro di noi, ha chiesto Paola come sta
la nonna e poi, rivolgendosi a a me: “Quando salerai questa scala
tre mila volte - ti passerà” Cosa passerà? Perché lo ha detto?
Non mi conosce nemmeno...
Il
tempo sciupa le cose, le rovina, ingiallisce i fogli, le stoffe
bianche. La nostra memoria, invece, le conserva così com'erano in
passato, anzi, le restaura, le pulisce da ogni impurità...
soprattutto se la nostra vita quotidiana scorre lontano dai luoghi
d'infanzia e non c'è la possibilità di rivederle, ritoccarle, di
verificare, insomma, se sono davvero così bianche, così belle,
come ce
le restituisce la memoria ed ecco cosa succede: “l'erba nel mio
paese d'origine era più verde, il cielo - più alto, le persone –
più cordiali, il cibo - più buono”... l'unico rimedio alla
nostalgia non è il tempo, perché la nostalgia si nutre del tempo,
mescolandolo sapientemente con i ricordi per ottenere un buon vino
che con il tempo diventa più forte e più aspro.
L'unico rimedio è la volontà di mettere
le radici.
Non
so come si adatta un organo trapiantato – il
cuore,
il
rene – all’organismo del ricevente né dal punto di vista medico
o biochimico né dal punto di vista delle
sensazioni. Non so come si abituano le piante trapiantate al posto
nuovo – allargano le radici, si adattano al terreno nuovo, alla
luce. Ne so qualcosa invece su come si adatta al posto nuovo un
essere umano – lo so per esperienza. I nomi e i cognomi non suonano
più strano e non fanno più nemmeno sorridere certe parole che per
assonanza somigliano a
qualche parola della tua lingua madre, si accumulano le abitudini
nuove, si moltiplicano i nuovi
ricordi.
Non sembra strano mangiare a colazione un po' di biscotti con il
latte anziché un sostanzioso piatto di pasta con magari un paio di
wurstel, e il melone con prosciutto anziché un bel borsch di bietole
con la panna acida a pranzo... Cominci ad avere i ricordi legati a
questo posto e non ti senti più un estraneo, anzi, puoi dire anche
tu: “faceva così caldo anche tre anni fa..., mi ricordo, che anche
nel 2006 c'era tanta neve così”, la
pronuncia
acquista quell'inconfondibile “k” sorda toscana (anche se non
riesce a soppiantare del tutto quella
più forte - russa).
Sembra che non c’è più il pericolo del rigetto, che l’organo
trapiantato si è adattato bene… Ma un giorno sfugge dal libro una
vecchia foto….
Una
vecchia foto sfuggì dal libro, sembrava in bianco-nero, così pochi
ce ne erano i colori: il bianco della neve, il nero degli alberi, il
grigio del cielo e del ghiaccio. Riconosco ogni albero, riesco a
intravedere sulla riva opposta dello stagno un sentiero e una
vecchia panchina verde rotta, sono sommersi dalla neve e nella foto
non si vedono, ma io li vedo con gli occhi della memoria. Conosco
questi salici da quando ero bambina – due sfere verdi, alte come
me, sognavo che crescessero più in fretta per farci sotto una
casetta e giocare. Ora sono cresciuti, ma anche io… E
sotto
quella quercia, chissà se c’è ancora, nascosta fra le sue radici,
una piccola scatola di latta con un “segreto” dentro; ...
E
forse non basta mettere semplicemente le radici, se ci vuole così
poco – una vecchia foto sfuggita dal libro - per risvegliare la
nostalgia...
Ancora
peggio sono i profumi...spesso sono proprio i profumi che ti
riportano indietro, in un istante ben preciso del passato. Il profumo
di rosa canina (giugno, ci siamo appena trasferiti in campagna, fra
poco c'è il mio compleanno); di gelsomino (che poi, botanicamente
parlando sarebbe Philadelphus). Un grande cespuglio vicino a casa,
troppo vicino, che tocca i fili elettrici e il nonno ogni anno lo
taglia, per poi, un'estate, disfarsene; il profumo del infuso delle
foglie di ribes nero, appena fatto (maggio, i primi fine settimana in
campagna, con tutta l'estate ancora davanti, il tè sulla veranda, il
samovar); dei pomodori (non del frutto, ma della pianta, basta
strofinare lo stelo, schiacciando i piccoli villi – marzo, l'estate
è ancora lontana, c'è ancora la neve dappertutto, anche sul
balcone, ma la nonna fa crescere le piantine di pomodoro sul
davanzale in camera, e quando di tanto in tanto tocco lo stelo, mi
sembra di pregustare l'estate), profumo delle frittelle di zucchine
(agosto, una giornata di pioggia), dei funghi secchi, appesi sopra
il piano cottura (agosto, il presentimento dell'autunno comincia a
tremare dentro, colora d'inquietudine le giornate già tristi per via
della pioggia grigia e noiosa),
profumo
delle fragoline di bosco (una splendida mattina di giugno, il
semolino al latte a colazione, le fragoline raccolte nel piccolo
pentolino); il profumo delle mele antonovka in autunno inoltrato,
quando giacciano sul divano nella casetta di campagna, protetti dalle
prime gelate con i vecchi giornali e le coperte; profumo dei piccoli
garofani nelle notti quasi bianchi di giugno e del tabacco profumato
sotto il cielo stellato di agosto. Tutte queste associazioni, legami,
segni, ricordi così diversi da quelli italiani e così comuni nella
loro nostalgica irrevocabilità...
Ha
detto: questo è il profumo dell’autunno. Sentivo soltanto l'odore
acidulo dell’uva mezza marcia. E questo odore non aveva nel mio
archivio personale di odori nessun posto
esatto, nessuna etichetta, non aveva il suo sosia nel mondo
immateriale. Era solo un odore (quasi puzza) dell’uva marcia. Non
era un odore-sensazione che risveglia i ricordi e dall’eternità
caotica di pezzi, episodi e frammenti della vita tira fuori
quell’unica associazione che si apre poi nella tua mente come un
colorato, tridimensionale e Vivo quadro.
Ma questo era un odore nuovo, odore da
provetta con una etichetta appena attaccata “L’odore di uva
marcia, 12/11/04, collegamento emotivo – l’autunno italiano”,
ma era un collegamento artificiale, privo di ricordi e di emozioni.
Sapevo che esisteva,
che sarebbe dovuto esistere, ma non sentivo niente. Il meccanismo
profumo-quadro vivo, un salto nel passato, non
funzionava. Era come se un
non credente fosse entrato in chiesa: sa
che dovrebbe provare devozione ma dentro di sé non sente niente. Era
un odore morto. Invano cercavo di adattarlo alla mia scala abituale:
l’odore di compost – e il suo sosia immateriale – la sensazione
di una giornata calda primaverile in campagna? No, l’odore di
compost era più pesante… L’odore al mercato d’ingrosso della
verdura? e subito si risveglia un’immagine: un freddo e piovoso
sabato, un giorno grigio e noioso, uno delle tante giornate spente,
uguali, uggiose. Era l’ odore del freddo, del la cantina, dello
stucco fradicio, un odore più di città…Continuavo a cercare i
riferimenti…Il vino andato a male? Si, come odore potrebbe
starci ma il collegamento emozionale mancava di nuovo, il vino andato
a male non suscitava in me nessuna associazione, non mi diceva
niente.
Ho
detto: questo è il profumo dell’autunno. E lui sentiva soltanto
l’odore delle foglie fradice e marce. E per me dietro questo odore
c'era un mondo: il parco in autunno, le ultime giornate ancora belle
e serene prima del tempo bigio dell’autunno inoltrato, la
felicità un po’ melancolica, come la mela con un fianco
fracidicio…
Una
volta d’inverno al mare ho detto: sento l’odore fresco del bosco
della campagna moscovita in primavera. Era cosi forte! L’aria era
piena di freschezza, di un presentimento di rinnovamento. Ha detto:
sei davvero pazza. È l’odore del mare....
Tanti
anni fa (in un'altra vita e in un altro paese, ora scomparso) il
dottore che un paio di mesi fa mi ha fatto l'appendicectomia, m'ha
chiesto: “Sai qual'è la medicina più efficace contro l'amore?”
(ha detto proprio così, fregandosi della grammatica). Gli
camminavo accanto senza guardarlo per non
morire dalla vergogna, (ricoperta da un sottile strato di estasi
dalla propria pazzia coraggiosa), con lo sguardo mi aggrappavo al
lato soleggiato (dispari) del Viale della Pace. Invece di
rispondergli ho fatto il segno con la testa - avevo paura di
scoppiare a piangere. Ha detto: “Nuovo amore”. Non gli ho
creduto, chiaramente. Lo so soltanto ora. Ed è una medicina migliore
non solo contro l'amore non corrisposto ma anche contro la nostalgia!
L'amore cosciente verso il nuovo posto di soggiorno permanente piano
piano ma definitivamente e inevitabile prende il posto della
nostalgia. Se uno vuole liberarsene, si capisce....
Tutto
è cominciato quando mi sono compiaciuta osservando nello specchietto
retrovisore l'autista della macchina dietro: si avvicinava troppo
alla mia macchina e poi ad un tratto perdeva la velocità e si
allontanava, poi ha preso dal sedile accanto un giocatolo e ha
cercato di passarlo dietro – avevo subito intuito un bambino che
stava piangendo. E mi sono compiaciuta perché anche io faccio così,
ma ancora di più perché era un uomo. Poi era un castello del 13
secolo, era sempre stato li, tutti questi secoli e persino gli ultimi
10 anni quando abitavo già in Toscana, ma l'autobus che prendevo per
andare all'Università all'incrocio girava a destra e il castello era
a sinistra.. e poi ancora un musulmano vestito di seta color rosa
tea: un vecchio con il bastone. Era uscito dalla casa di fronte al
castello, mi ha baciato la mano e ha chiesto “ça va?” Risposi:
“Bien” (tutto mio francese) e chiesi di fotografarlo. Il
musulmano fece finta di non capire, poi strofino il pollice contro
altre dita – un gesto internazionale, uno dei pochi... Non ne ho,
le foto del musulmano... Lasciando il borgo, ho rivisto il vecchio
che camminava verso Poggibonsi. “Forse è il suo guadagno – farsi
fotografare e i suoi vestiti belli di seta color rosa tea sono è la
sua attrezzeria...” -
pensai.
La
mattina, dopo aver accompagnato i bambini alla fermata di scuolabus,
corro per l'appartamento come una pazza, mettendo la roba di qua e di
là...mettendo a posto, cioè. Poi ficco dentro lo zaino la macchina
fotografica, il treppiedi, la guida, la mappa, qualcosa da mangiare,
e altre cose che potrebbero servirmi: i sassi, le corde, i fiori
secchi, una vecchia bambola, una grossa chiave arrugginita ... Anche
quando sto andando in un posto preciso, “programmato” mi fermo
spesso per strada, perché la Toscana è piena di meraviglie: un
fagiano sul rotolo di fieno, la strada bagnata dalla pioggia, un
raggio di sole che mette in risalto il campo verde...Mentre
faccio le foto - smettono di esistere per me il tempo e lo spazio, il
passato e il futuro (o, perlomeno, ogni pensiero a riguardo), persino
io smetto di esistere in quel istante fra inquadrare e scattare.
Tutto il mondo si concentra nell'oggetto della fotografia, anche se
sia solo un girasole secco e mangiucchiato dagli uccellini.... Il
tempo e lo spazio diminuiscono, conferendo all'oggetto una profondità
incredibile... Poi alzo gli occhi all'orizzonte, guardo le colline e
i cipressi e il mondo riguadagna le sue proporzioni, anzi, diventa
enorme, sterminato... E a volte sono contenta persino del risultato!!
Ma sono un pessimo fotografo perché non voglio pensare al diaframma
ed esposizione, alla distanza focale e “quanta luce entra”,
voglio invece ricordarmi questo momento, questo istante con tutta la
forza dell'anima, con tutti i miei sensi, per poterlo non solo
riprodurre, ma rivivere. Perché tutto intorno a me è VERO, è
AUTENTICO: i girasoli, i panni fra gli ulivi, il vecchio muro con
delle crepe...e le persone. La mia pronuncia e alcuni errori
grammaticali mi tradiscono, l'accento toscano suscita la simpatia e
la curiosità. Aggiungete la macchina fotografica e un bambino
simpatico al fianco. A me, come ai toscani, piace chiacchierare. Le
foto fanno solo una parte delle Storie che succedano a me tutti i
giorni. Si inizia con: “Scusi, è una strada privata?” e si
finisce sempre con gli abbracci e le risate.
….Mi
piace anda' senza fretta lungo la via Casolani, la strada principale
de' mio borgo, anda' a fa' le commissioni, fermarmi ogni po'ino a
chiedere “come va?” a Giovanni, che esce dalla bibliote'a (una
volta fermò la mi' macchina, la lasciai in discesa senza il freno a
mano), o a Silvia, che pulisce i tavolini del bar (i nostri figli
vanno nella stessa classe), mi piace scambia' due baci con Aurora,
anche se ci siamo visti ieri, o due parole 'on le persone che 'onosco
bene, un cenno di testa 'on quelli che 'onosco appena. Probabilmente,
non conoscerò tutti i 3000 abitanti, ma è comprensibile: non sono
nata qui. E sicuramente non ho fatto le scale 3000 volte (da quando
ho i bambini, preferisco l'ascensore), ma non cerco più i segni,
ammiro tutti i giorni le colline, ora verdi ora blu, famigliari, ma
sempre sorprendenti. E persino la pizza 'omincia a venirmi bene..
(Comunque le panchine e gli alberi nel parco della mia infanzia non
esistono più: gli hanno abbattuti per costruire il parcheggio... )
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